Circondati dal futuro

Si sente sempre parlare di post-capitalismo come un'era a venire, situata sempre un po più in la, in un futuro prossimo ma non ancora ben determinato.

Nelle visioni più frequenti, il passaggio dell'occidente dal capitalismo al post-capitalismo sarà piuttosto traumatico: crisi economiche, sociali ed ecologiche distruggeranno il mondo per come lo conosciamo, per far spazio alle peggiori visioni apocalittiche, con sfumature utopiche o distopiche a seconda della narrativa.

Non a caso recita Mark Fisher:

È piu facile immaginarsi la fine del mondo che la fine del capitalismo.

Eppure, nonostante ce la stiamo mettendo tutta ad innescare contemporaneamente ogni sorta di crisi, forse non dobbiamo sopravvivere all'apocalisse per vivere il post-capitalismo, perchè è in parte già presente nelle nostre vite, oggi e qui in Europa, e non sarà la conseguenza dello scatenamento delle crisi, bensì la risoluzione delle stesse.

Uno dei postulati del materialismo dialettico è la "legge della conversione della quantità in qualità (e viceversa)", la quale afferma che in natura le variazioni qualitative possono essere ottenute dal sommarsi graduale di variazioni quantitative che culmina con un salto (inerentemente non-graduale) di qualità; la nuova qualità è pertanto considerata altrettanto reale di quella originaria e non è più ad essa riconducibile. Più in generale, ogni differenza qualitativa è collegata ad una differenza quantitativa e viceversa: non esistono le categorie metafisiche "quantità" e "qualità" bensì esse costituiscono due poli di un'unità dialettica.

Anche senza pretendere di interpretare la storia in termini di materialismo dialettico, è importante tenere a mente questa affermazione, se si vuole provare a immaginare il futuro da qui: non semplicemente come un sistema binario di causa-effetto, ma bensì come il risultato di quel cambiamento qualitativo in sito già oggi. La lunga serie di cambiamenti quantitativi che produrranno il salto di qualità, sono presenti oggi, e se li identifichiamo in tempo, possono offrirci stralci e visioni del futuro, delle sue necessità e delle sue contraddizioni.

Se dovessi nominare un altro autore per aiutarmi a decifrare i tempi che stiamo attraversando e il destino che ci aspetta - sceglierei Emanuele Severino.

Il filosofo bresciano dedica più di un libro al capitalismo e al suo tramonto. Riprendendo un altro postulato del materialismo dialettico (l'eterogenesi dei fini) la tesi che propone è che la tecnica - in quanto massima rappresentazione della volontà umana - è il principale motore dei sistemi creati dall'uomo.

La tecnica, dice Severino, è stata usata dalle religioni prima, tanto quanto dai regimi totalitari nel 900 e dal capitalismo poi come principale ed unico mezzo per la realizzazione di fini. L'egemonia della produzione di fini però, ha finito per trasformare la tecnica nell'unico vero fine, sulla base del quale si misura quale sistema domina su tutti gli altri. Inutile dire che il capitalismo è stato il sistema che meglio degli altri ha saputo incrementare la potenza tecnico-scientifica, dominando la terra e i suoi abitanti.

Ma capitalismo e tecnica non sono la stessa cosa e non condividono gli stessi fini. Mentre il fine del capitalismo è l'estrazione e la centralizzazione delle risorse tramite l'applicazione delle conoscenze tecnico-scientifiche, quello della tecnica è l'auto-potenziamento a meta indeterminata, la massimizzazione degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi.

Non condividendo lo stesso fine, arriverà inevitabilmente un momento in cui i fini del capitalismo ostacoleranno i fini della tecnica - e viceversa. Il capitalismo limita la potenza della tecnica, veicolandone lo sviluppo solo in quei settori che esso considera remunerativi: dove ossia si può creare, estrarre e accentrare del valore. Il capitalismo (avente come uno dei suoi perni il libero mercato) inoltre, gode ancora di una passione umana, quella per i soldi. La tecnica invece - analizza Severino e prima di lui Heidegger - è totalmente priva di qualsiasi passione o debolezza umana: è calcolo e volontà di potenza.

Insomma, il capitalismo è di gran lunga inferiore alla tecnica.

L'oltrepassamento

A quel punto la tecnica - liberatasi dai limiti imposti dal capitalismo - dominerà la terra e avverrà quel salto di qualità, che renderà la nuova realtà non più riconducibile alla precedente (ossia l'attuale occidente capitalista).

Il capitalismo dunque, è destinato al tramonto - messo in panchina da quella forza che più di ogni altra ha contribuito al suo dominio.

Come atterrare?

A fronte del destino che ci aspetta, riusciamo a immaginare quali saranno le necessità della tecnica che plasmeranno il mondo, le nostre vite e le nostre stesse necessità?

Mi vengono in mente due concetti che hanno contribuito a fondare il capitalismo e di conseguenza l'intero mondo occidentale, ma che sulla base di quanto detto sinora, non è scontato che resteranno validi nell'era della tecnica: la proprietà privata e la scarsità come parametro per la definizione del valore di una risorsa.

La proprietà - indispensabile nella società capitalista per produrre valore e come merce di scambio nel mercato, è di intralcio ai piani del progresso tecnico-scientifico.

La proprietà intellettuale, i brevetti - sono un palese impedimento per l'innovazione (pensiamo alla ricerca scientifica, quanti passi avanti avrebbe già compiuto nella cura delle malattie se le case farmaceutiche fossero costrette a rilasciare i loro risultati con license aperte).

Ma anche ogni sorta di proprietà fisica sono un intralcio al piano della tecnica - che abbiamo detto essere la massimizzazione degli scopi con l'impiego minimo dei mezzi. Banalmente il fatto che una percentuale minima di individui possieda distese di terra enormi e per lo più inutilizzate è un impedimento alla tecnica e alla volontà di sfruttare quelle terre per la produzione di scopi (qualunque essi siano).

D'altra parte la scarsità rende inaccessibile la tecnica e le sue produzioni a una parte importante della popolazione, limitandone l'utilizzo e le sue evoluzioni.

Sono concetti destinati a cambiare radicalmente: come verrà definito il valore nell'età della tecnica? Libertà, autonomia, indipendenza, produzione, sostenibilità, mercato, società - ogni termine muterà più o meno radicalmente in funzione della nuova forza che - svincolata dai limiti odierni - formerà il nuovo mondo post-capitalistico.

Come da titolo, siamo circondati dal futuro - immaginarlo e descriverlo può anche significare provare a modificarne il terreno - o sottosuolo (per usare un altro termine caro a Severino).

Perchè ogni giorno che passa mi rendo conto di quanto è vero quello che scrive Ursula Le Guin:

Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand'ero bambino, che la Verità è una questione d'immaginazione.